ilgiornaledellarchitettura.com
27 dicembre 2016
Laura Milan
La riforma dell’ordinamento professionale del 2011 per gli architetti ha aperto la strada all’obbligo di formazione continua. Non troppo benvoluto da una parte della categoria, il primo triennio si avvia alla conclusione ed è possibile tracciare i primi bilanci, seppur non definitivi, e descrivere uno stato dell’arte, le criticità e le previsioni per il futuro. Ne abbiamo parlato con Ilaria Becco, consigliera coordinatrice del Dipartimento Formazione e qualificazione professionale del Cnappc.
Alla chiusura del primo triennio di formazione obbligatoria, qual è la situazione complessiva degli architetti italiani? Quale bilancio si può fare, tra criticità e cose che invece hanno funzionato?
L’introduzione dell’aggiornamento obbligatorio è stata una delle novità più rilevanti all’interno della riforma attuata nel nostro ordinamento professionale a partire dal 2011: è infatti la modifica che più ha inciso sull’intero sistema, sull’attività degli iscritti, degli Ordini professionali e del Consiglio Nazionale degli Architetti. Come ogni cambiamento ha avuto bisogno di un periodo di avviamento e di rodaggio: siamo partiti all’inizio del 2014 senza un’adeguata organizzazione e con la difficoltà, da parte di molti iscritti, di comprendere le reali motivazioni che stanno alla base di un obbligo che, non dimentichiamo, ci deriva dalla legislazione europea ed è finalizzato a garantire la qualità della prestazione nell’interesse della collettività.
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