Corriere della Sera
1 ottobre 2015
Leopoldo Freyrie
Caro direttore, a poche settimane dalla chiusura di Expo Milano 2015, il destino dell’area è ancora sconosciuto, esito prevedibile della nota incapacità italica di ragionare su orizzonti temporali più lunghi di quelli del giorno dopo. Era così scontato che l’Ordine degli architetti di Milano, fin dal 2008, pubblicò «Expo dopo Expo», un catalogo fotografico, dove si metteva in guardia dai disastri annunciati dei dopo Expo moderni in Paesi normalmente più assennati di noi. Ora che siamo ai tempi supplementari, si inizia a ragionare sul dopo, con alcune proposte interessanti da diversi soggetti pubblici e privati, ma in assenza di una vera regia pubblica e di una strategia condivisa.
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’Expo dopo Expo non è affare da discutersi in tavoli riservati: è invece l’occasione di dimostrare che il progetto pubblico può essere, assieme, partecipato ed efficiente, coinvolgendo le migliori intelligenze così come i cittadini, con processi che altrove, in Europa, sono normali. Tutto il contrario di ciò che è stato fatto per Expo finora, smontando l’alibi che le difficoltà procedurali abbiano impedito una gestione normale: è stato il lungo e meschino gioco di potere tra i diversi soggetti coinvolti a costringere all’emergenza e al commissariamento.
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