Panorama
30 dicembre 2014
Martino Cavalli
Ci sono archistar come Norman Foster. Poi ci sono i 152mila architetti italiani che annaspano, (...) Il presidente dell’ordine, Leopoldo Freyrie, lancia l’allarme: «Con 17mila euro di reddito medio, gli architetti sono i nuovi poveri. Ormai, per lavorare, bisogna sperare che la zia voglia rifare il bagno. (...)
Se la disoccupazione sale e i redditi crollano, oltre alla crisi, il primo indiziato per il tentato omicidio della professione è l’università, che ha continuato a sfornare come se niente fosse, pensando solo alla propria sopravvivenza: più matricole, più soldi. «Una politica dissennata, ormai sono oltre 30 gli atenei che offrono la laurea in architettura» commenta Freyrie.
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Secondo imputato: la pubblica amministrazione. Leggi nazionali, regionali, comunali e per finire il consiglio di zona, centinaia di pagine da presentare, ore e ore di lavoro.
Terzo imputato: la giustizia. Uno studio del Cresme mette in fila una serie di numeri che non hanno bisogno di commento: crediti dal privato come dal pubblico, e debiti con banche e finanziarie. (...) Quando il cliente non paga e per una sentenza si aspettano anni, si può anche chiudere bottega, anzi studio.
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Quarto imputato: il «sistema Italia» che non c’è. Chi prova a uscire dai confini per lavorare all’estero si vede negare il supporto dalle istituzioni.
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