Corriere della Sera
25 febbraio 2017
Peppe Aquaro
Il primo direttore di «Abitare»? Una donna: Piera Peroni. Poi, Franca Santi Gualteri. Tra gli anni Sessanta e Settanta. Una vita fa: per società, modo di vivere e progettare le cose. E dopo sei lustri di soli uomini alla guida del mensile di architettura, arredamento e design, riecco, a fine 2014, una donna: Silvia Botti.
Facile pensare allora: ecco perché il nuovo numero di «Abitare», da ieri in edicola, è completamente dedicato alle architette. Aggiungiamoci che, tra un po’, si festeggerà l’8 marzo, e il gioco è fatto. Mica tanto. «La verità? Di copertine e servizi dedicati alle protagoniste dell’architettura e design ne abbiamo realizzati diversi, ma una visione d’insieme, raccontando che le donne architette ci sono, eccome — facendo cose interessanti e innovative — forse non era mai stata offerta», spiega il direttore di «Abitare», elencando presenze e soprattutto numeri.
Perché, accanto ai grandi nomi della progettazione al femminile nel mondo (dalla tailandese Rachaporn Choochuey all’austriaca Silja Tillner, dalle italiane Giulia De Appolonia e Ludovica Di Falco alle americane Jeanne Gang e Annabelle Selldorf), i dati raccontano come sia cambiata negli anni la professione di architetto. Sempre più donne decidono di intraprendere la strada di Zaha Hadid: o meglio, finché si tratta di studiare e laurearsi, ai maschietti fanno ciao, ciao. Poi, di fronte al muro della professione cominciano i problemi. E non è sempre colpa delle donne.
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In Italia, per esempio, il 42 per cento degli architetti è donna (in incremento dell’11 per cento rispetto al 1998) e mediamente percepiscono il 57% in meno dei colleghi maschi. (...)