Il Sole 24Ore 
26 gennaio 2017
Maria Carla De Cesari

 

Gli avvocati tornano a dettare l’agenda delle politiche per le libere professioni: un disegno di legge messo a punto dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, prevede il diritto all’equo compenso, «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto, alle caratteristiche della prestazione legale».

Per la quantificazione economica il riferimento è il decreto 55/2014 che stabilisce il valore delle prestazioni forensi quando tocca al giudice stabilire la liquidazione di una parcella. Il disegno di legge, che dovrebbe essere approvato dal primo Consiglio dei ministri utile, ha come controparte non il signor Rossi, il cliente che va dall’avvocato per rivendicare i propri diritti su un cortile comune, ma il cliente-impresa, soprattutto banche e assicurazioni, cioè quei soggetti capaci, per la loro forza contrattuale, di imporre anche clausole-capestro. Queste sono definite dall’articolo 2 del disegno di legge.

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Per superare l’asimmetria rispetto alla qualità della prestazione non basta, secondo Zambrano, l’iscrizione all’Ordine. «L’Ordine - spiega - non può controllare la qualità volta per volta, anche se stiamo lavorando sulla certificazione delle competenze e delle specialità».

Sulla stessa linea anche il Consiglio nazionale degli architetti. «Il Dm 143/2013 - spiega il consigliere nazionale Massimo Crusi - vale per il giudice nel contenzioso, non è fatto per la trattativa tra le parti. Pensiamo che debbano essere fissati dei parametri per aiutare il cittadino a capire l’offerta. Dall’abolizione tariffe c’è stato un imbarbarimento del mercato, che non è stato capace di autoregolarsi, visto che i ribassi sono arrivati anche all’80-90 per cento. Questo è contrario alla qualità. Per questo, i parametri devono essere collegati a standard prestazionali».

 

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