Corriere della Sera
4 luglio 2016
Michael Cunningham
In Giappone, i seguaci dello shintoismo distruggono i propri templi ogni vent’anni e li ricostruiscono nel medesimo luogo, per ricordare a se stessi che tutto è transitorio ma anche che tutto ciclicamente ritorna.
A Barcellona prosegue da oltre un secolo la costruzione della basilica della Sagrada Família, lasciata incompiuta nel 1926 alla morte improvvisa di Gaudí. (...) Aspetto essenziale per la loro sacralità: noi non onoriamo infatti soltanto la chiesa in sé ma l’idea stessa di una chiesa più favolosa, che quella esistente si limita a simboleggiare.
Matera ospita ogni anno i festeggiamenti in onore della Madonna della Bruna, protettrice della città: fra le varie processioni e sfilate si svolge quella del carro trionfale di cartapesta che, dopo aver attraversato le strade della città lucana e raggiunto una delle piazze del centro, viene preso d’assalto dalla folla dei fedeli e letteralmente fatto a pezzi, finché non ne resta più niente.
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Molte delle abitazioni di Matera sono grotte e molti dei suoi edifici — o meglio, quelli che sembrano edifici — sono semplici facciate, dietro le quali si scoprono ancora delle grotte. Matera è come un enorme alveare, apparentemente solido dall’esterno, ma in realtà costituito per lo più da gallerie, cunicoli e grotte, talvolta poste una sull’altra a formare un’unica abitazione. Se la gran parte delle grandi città aspira oggi a costruire edifici sempre più alti, a testimonianza dei nostri tentativi di avvicinarci al cielo, Matera evoca un bisogno più primordiale, quello di scavare nella terra, di trovarvi abbraccio e protezione.
Matera — le sue rocce, le sue strade, le sue strutture — è sostanzialmente di un solo colore, un biancastro simile a quello di un osso spolpato e abbandonato al sole e alla pioggia del deserto.
Non ci sono alberi. Non c’è erba. Come se ogni cosa fragile, cedevole, fosse stata spazzata via dal vento millenni fa. Matera è composta soltanto da quanto è in grado di resistere a una forza sconquassante. Matera è ciò che resta dopo gli uragani.
Visitandola di persona, ho capito che è proprio questo l’unico modo per comprenderla davvero. Le foto sono suggestive, indubbiamente, ma non riescono a trasmetterti la sensazione — palpabile nel momento in cui metti piede in città — di essere fragile a tua volta, di pattinare sulla superficie rocciosa della mortalità.
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