Corriere della Sera
18 giugno 2016
Luca Molinari
La vittoria di uno dei Compassi d’Oro 2015 con un’opera di architettura come l’auditorium «Giovanni Arvedi», realizzato all’interno del Museo del Violino di Cremona, ha sorpreso quest’anno molti addetti ai lavori, tradizionalmente abituati a opere più legate al mondo del design.
Questo elegante guscio di legno inserito nell’austera cornice dell’edificio progettato nel 1941 dal napoletano Carlo Cocchia e restaurato con attenzione da Giorgio Palù e Michele Bianchi, potrebbe essere guardato come un super-oggetto che, simbolicamente, ricorda un frammento di strumento musicale garantendo insieme la massima qualità acustica.
La metafora appare forse troppo letteraria, ma scorrere con lo sguardo le tante varianti sulle sagome di viole e violini disegnate da Stradivari e Guarneri, custodite in questo incredibile museo, rende tutto più plausibile. Inoltre la perfetta qualità del suono dello spazio interno dell’auditorium è all’altezza di questa città e della tradizione unica che nutre continuamente da almeno quattrocento anni. Provando poi ad allontanarsi da Cremona e da questo bel progetto, possiamo notare come, in questi ultimi anni, una serie di autori importanti abbiano provato a costruire una relazione di necessario contrasto tra la forma scatolare delle architetture prodotto della modernità e l’immissione di corpi anomali capaci di generare un’esperienza inattesa e salutare.
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