Il Sole 24Ore Edilizia e Territorio
8 giugno 2016
Giorgio Santilli
Da tempo le periferie e la rigenerazione urbana sono uno dei temi prioritari del confronto politico nelle grandi città. L'emergenza nasce dal peggioramento delle condizioni economiche generali, dalla pressione demografica, dalla carenza di risorse e di progetti a livello locale, dal diffondersi della povertà e del degrado fisico di ampie zone urbane. Fenomeni che, sia pure in misure diverse, sono condivisi da molte zone dell'Europa.
Quello che invece è molto italiano e contribuisce non poco ad aggravare la situazione è la mancanza di una politica urbana nazionale su questi temi. Sono 15 anni che lo Stato centrale ha abdicato al compito di sostegno e di aiuto alle politiche locali. Negli anni '90 una generazione di progetti, programmi e piani di riqualificazione in ambito urbano (Pru, Prusst, contratti di quartiere e così via) aprirono una strada di collaborazione diretta governo-città che fu poi bruscamente interrotta, soprattutto dal titolo V riformato e dal federalismo regionalista. Anche su questo fronte la riforma del titolo V contenuta nella legge costituzionale sottoposta al referendum di ottobre costituisce un punto di svolta per tornare a uno Stato complessivamente più efficiente e più capace di affrontare le questioni reali.
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Soprattutto, i comuni - di qualunque colore politico - devono sapere e sentire che il governo c'è a sostenerli, con politiche che hanno leggi, risorse (europee, nazionali, locali e private) e obiettivi chiari. Basta guardare al «modello Marsiglia», una città rinata grazie alla collaborazione fra centro e locale che si è tradotta in una cabina di regia fra comune, governo, grandi spa pubbliche. E ancora corsie preferenziali, procedure veloci, organizzazione di “pacchetti” di risorse senza i quali gli annunci di questi giorni in campagna elettorale sono destinati a restare lettera morta.
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