Il Sole 24Ore
20 marzo 2016
Gino Ruozzi
La figura di Gio Ponti (1891-1979) è centrale nel panorama dell’architettura e dell’industrial design italiani del Novecento. Autore prolifico di progetti e di opere, dalla sedia Leggera Cassina al Grattacielo Pirelli di Milano, dalle ceramiche per Richard-Ginori (di cui ha parlato in queste pagine Stefano Salis il 10 gennaio scorso) alla rivista «Domus» (1928-1940, 1948-1979), Ponti è stato un grande docente, infaticabile promotore e realizzatore di idee. È stato anche uno scrittore significativo ed è in questa veste che ne parlo in occasione della recente ripubblicazione del libro Amate l’architettura (Rizzoli).
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Negli aforismi introduttivi Ponti lo dichiara in felici paradossi: «questo libro non è architettato; è una collezione di idee, piuttosto che un coordinamento di idee: coordinatele secondo una vostra scelta: servirà meglio, vi diverrà personale»; e ancora: «un libro così non lo si finisce mai: continua: è autobiografia; lo si licenzia non finito; ogni riedizione rifarlo». È sintomatico verificare la sintonia di queste attestazioni con la sensibilità letteraria contemporanea. Ponti interpreta il senso di incompiuto e di assidua ricerca che distingue il Novecento. Amate l’architettura non è “solo” un libro «per gli amanti dell’architettura e per gli spasimanti della civiltà» ma è opera di valore letterario.
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