Corriere della Sera
12 ottobre 2015
Vittorio Gregotti
Come è possibile nei nostri anni, individuare un elemento fondante che si costituisca come riferimento nel tempo di una nuova città?
Non più centri cerimoniali, né luoghi dei morti come fu per l’uomo paleolitico, ma neanche le tracce fondative del cardo e decumano, né le fortificazioni come traccia complessiva dell’insieme urbano, né la divisione per funzioni di cui il «centro» e la periferia sono due parti strutturali di vita collettiva in perfetto equilibrio, o il palazzo imperiale è il centro di comando e l’elemento fondante e invece la città è lo schema della perfetta viabilità, o quello intorno ad un grande centro di produzione (niente di più provvisorio). Oppure è un’utopia urbana ed il nucleo stabile è rappresentato dai sistemi che si occupano di cultura scientifica, delle arti, della società stessa e dell’insegnamento, anche se sappiamo bene come tutto questo è ciò che di più dinamico una società potrebbe produrre, e quindi è assai arduo far assumere ad esso una forma stabile.
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A tutto questo Luigi Mazza cerca di rispondere con un recente volume dal significativo titolo Spazio e cittadinanza (Donzelli editore) per concludere che «le pratiche di governo del territorio sono pratiche politiche» e che in questi anni proprio la relazione tra spazio urbano e cittadinanza si è perduta, perché la finalità primaria del governo della città e del territorio si è posta al servizio del capitalismo finanziario globale ed ha fatto dell’architettura uno strumento «di visibilità dei propri principi», sovente assai lontani da ciò che può fondare, gestire e rappresentare l’interesse di una cittadinanza civile.
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