Corriere della Sera
14 luglio 2015
Vittorio Gregotti
Al di là della crisi economica che ha investito non solo l’Italia ma una parte rilevante dei Paesi europei, è maturata negli ultimi trent’anni una crisi della nostra disciplina, ben più profonda che si annuncia come possibile e forse persino inevitabile. Al cambiamento sia della nostra pratica artistica che di quella della nostra professione-mestiere, la facoltà di Architettura di Venezia ha recentemente organizzato su questo tema un convegno internazionale.
Le ragioni sono duplici ma anche convergenti, proprio nei casi dei più clamorosi successi mediatici, di alcuni architetti e la loro duplicità ha a che vedere sia con la progressiva incertezza dei fondamenti di senso dei loro processi di progettazione, sia con i cambiamenti dei ruoli e delle procedure di costituzione del fare architettonico. Ed ovviamente anche nella assenza di una ragionevole dialettica tra autonomia ed eteronomia nella costruzione del progetto di architettura e della sua realizzazione.
A tutto questo si aggiunge il fatto che negli ultimi cinquant’anni la produzione edilizia ha superato di gran lunga quella dei precedenti duemila, e gli affari hanno largamente superato i motivi culturali e di interesse collettivo della loro pratica artistica.
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