Corriere del Veneto
7 giugno 2015
Fabio Bozzato
Quella che per molti non è che una bara sospesa sotto il cielo di Piazzale Roma, per la Soprintendenza è «un piccolo gioiello tecnologico e architettonico». Per tutti invece è ormai solo «la pensilina». In realtà, quell’oggetto bruno che campeggia da qualche giorno nella piazza d’accesso a Venezia è il Terminal del tram, firmato da Francesco Magnani e Traudy Pelzel dello Studio Map, tra i più brillanti progettisti di base in laguna.
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«È stato un lungo susseguirsi di interventi e di oggetti rivisti e rimossi – riflette Anna Buzzacchi, la presidente dell’Ordine degli architetti veneziani – Per questo io leggo il terminal del tram per la sua funzionalità, in questo caso per la mobilità, qualcosa che non sarà permanente». E dell’oggetto cosa pensa? «È stato fatto un gran chiasso. Se si arriva da Papadopoli può sembrare incombente, ma visto dal garage si riproporziona». Un limite? «Anche in questo caso, mi sembra si proceda per episodi».
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Concorda in pieno con lo scrittore veneziano Guendalina Salimei. Lei ha progettato una città dal nulla, in una laguna simile a quella di Venezia, ma in Vietnam. «Dal nulla no: l’ambiente circostante è delicato e complesso, quasi come la trama storica da voi». Più volte presente in Biennale Architettura, Salimei ricorda «i tanti progetti bellissimi e non fatti firmati da quelli che oggi consideriamo maestri, a cominciare da Le Corbusier». Occasioni perdute: «in realtà questa città avrebbe bisogno di molte più tracce di contemporaneo perché ricordano a tutti il passare inesorabile del tempo con cui si deve fare i conti». Ma c’è un’altra cosa che ci tiene a dire, questa architetto globetrotter, riferendosi anche al terminal dei tram: «Gli architetti italiani hanno una capacità di inserirsi in sistemi delicati di memoria, capirne il contesto e studiarne il segno, che nessun altro ha. Qualcosa che neanche la cultura anglosassone è riuscita a raggiungere».
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