la Repubblica – Genova
7 giugno 2015
Michela Bompani

 

Il ventre dell’architetto è una delle città invisibili di Italo Calvino. Armilla, sceglie Renzo Piano. La città fatta di tubi, linee cioè, e che, per di più, suonano.

Ieri, il grande architetto e senatore a vita, intervistato da Francesco Merlo, ha aperto la giornata di Repubblica delle Idee nel Salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, assediato dal pubblico (che ha atteso dalla prima mattina, in una lunga fila, lungo lo scalone) l’inizio dell’incontro. Non importa se fuori c’è il sole ed è scoppiata l’estate. Parla il senso di Piano per la sua città.

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Anche perché, Renzo Piano non fa sconti, «l’architettura non si fa con l’indice di gradimento - socchiude gli occhi - è come il giornalismo, e deve fare come fanno i medici: dire la verità ». E per questo, dice Piano, non bisogna avere paura del futuro: «è l’unico posto dove possiamo andare, se ci è data la possibilità, e dobbiamo andarci con fiducia».

Il futuro delle città, indica il grande architetto, sta nelle periferie: “Negli anni Ottanta il futuro stava nei centri storici. Ora sono stati tutti riqualificati, perfino troppo, sono stati quasi mummificati. Adesso il futuro è nelle periferie, che non sono brutte, sono luoghi in cui l’architetto trova la bellezza e la ricongiunge alla città. Non si devono più costruire parcheggi e bisogna dare più forza al trasporto pubblico: questo è il futuro delle città». Secondo Piano, «la politica non deve avere fretta, il processo è lungo, ci vorranno i prossimi trent’anni per riqualificare le periferie. Per aggiungere luoghi di aggregazione, servizi». Ed è questo che insegna ai giovani che vuole intorno a sé, nel suo studio di Parigi: arrivano da tutto il mondo: «vengono “a bottega” - dice - per sei mesi, li pago, come deve essere. A loro, mi raccomando sempre, dico che devono andare a vivere in periferia, e fare “gli architetti condotti”».

 

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