la Repubblica
19 maggio 2015
Alessia Gallione
Ancora insieme, come all’inizio dell’avventura. Quando Jacques Herzog, l’architetto che con il suo studio Herzog & De Meuron ha firmato progetti in tutto mondo, e Carlo Petrini, il maestro del gusto e del legame con la terra e la sapienza contadina, vennero chiamati per “inventarsi” una nuova Expo. Entrambi, nel tempo, hanno preso le distanze dall’evento. (...)
Lei è uno degli architetti che ha firmato il primo masterplan di Expo: riconosce ancora le sue idee nel progetto?
«Il nostro masterplan era basato su due elementi. Il primo: l’estrema semplicità del concept urbanistico, un giardino planetario strutturato come la griglia di un’antica città romana, con il cardo e il decumano come riferimenti spaziali per tutti i padiglioni e gli eventi. Il secondo: una visione per riuscire a reinventare il concetto di Esposizione mondiale: invece di avere forme individuali, i padiglioni dei Paesi avrebbero dovuto essere strutture temporanee standardizzate. Avrebbero dovuto differenziarsi attraverso i contenuti, non attraverso queste ridicole capriole architettoniche che si possono trovare in qualsiasi rivista di design. La prima parte è stata realizzata, perché il cardo e il decumano sono la spina dorsale urbanistica, ma la seconda no. Questo significa che la vera visione dietro il nostro masterplan, il ripensamento radicale di Expo, non è stata portata a compimento».
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