Il Sole 24Ore
3 maggio 2015
Fulvio Irace
Se quella dell’Expo è una città provvisoria, la città reale di Milano mostra i segni di nuove stratificazioni su un corpo ancora riconoscibile nella sua più nota identità. Piazza del Duomo è rimasta la stessa, ma il Museo del Novecento nella novecentesca torre dell’Arengario non è più la stessa.
È come se fosse stata svuotata dall’interno e riempita con la spirale di una scala che culmina in alto nel belvedere illuminato dal neon di Lucio Fontana. Poco distante il contestato gate di Expo incornicia la prospettiva sul Castello con un segno nuovo che potrà spiacere ai nostalgici ad ogni costo, ma indubbiamente, insieme ai “fiocchi di neve” da poco installati nell’area pedonale di Foro Bonaparte, consente di vedere con occhi nuovi il lascito dell’eredità storica, creando un temporaneo contrasto con l’austera mole di mattoni. All’insegna del «c’è qualcosa di nuovo anzi di antico», molte parti della città storica sono state leggermente rimodellate , secondo un processo che in fin dei conti può contare a Milano su una lunga tradizione che i nostri maestri del 900 (da Albini a Ponti o ai BBPR) avevano teorizzato e praticato.
Prendiamo il caso del Museo del Duomo, che in punta di piedi Guido Canali ha ridisegnato dall’interno facendo riemergere interi brani delle architetture medievali e rinascimentali o quello del nuovo allestimento della Pietà Rondanini, che, nonostante il discutibile pavimento in legno nella sale dell’antico ospedale, offre un nuovo punto di vista sulla famosa scultura.
Ma, accanto a queste trasformazioni “silenziose” ovviamente , altre più eclatanti si mostrano ai visitatori: e sono quelle che maggiormente contribuiscono a ridefinirne la silhouette di eterna “città che sale”.
(...)