Corriere della Sera
27 marzo 2015
Pier Luigi Panza

 

Alla critica rivoltagli da un giornalista di fare «architettura-spettacolo», qualche mese fa Frank Gehry ha risposto alzando il dito medio. «Il 98% degli edifici che si costruiscono oggi sono pura m..., mancano di sensibilità». E ha aggiunto: «Vorrei che mi lasciassero lavorare in pace». É stata l’espressione più marcata dello stato d’incomprensione di cui si sentono oggi vittime alcune grandi firme dell’architettura. Un’incomprensione che, talvolta, si tramutata in contrasto con le istituzioni committenti degli interventi.

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Oggi è il pavimento del Mudec a dividere David Chipperfield e il Comune di Milano, talmente inadeguato da spingere l’architetto a ritirare la propria firma dal progetto. Le archistar vorrebbero solo «lavorare in pace», eseguire il progetto come l’hanno pensato e come è stato approvato, cercando di conferire un’espressività riconoscibile e non riducibile ad alcun altra soluzione, nemmeno nelle piastrelle. Specie in un museo dove, tra pareti chiuse e vetri, il pavimento ha un peso significativo. Ma l’architettura, per quanto arte autografa, non è mai riconducibile a un solo esclusivo autore come una poesia, bensì a un parto collettivo.

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foto: marcomarcucci.com

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