la Repubblica - Milano
21 marzo 2015
Fulvio Irace
Le ultime battute delle polemiche tra David Chipperfield e l’amministrazione comunale sulla cattiva esecuzione del Mudec suscitano imbarazzo prima ancora che riprovazione per la palese violazione di un diritto d’autore che nessun committente illuminato si sarebbe mai permesso verso il lavoro creativo di un artista che sulla sua opera ci ha messo, come si dice, la “faccia”, cioè il nome.
È una vicenda che ricorda tristemente i travagli dell’auditorium al Parco della musica a Roma di Renzo Piano, che segnò forse il punto più basso di una reputazione che l’intero Paese ancora si porta appresso. Quello che più sconcerta, tuttavia, è come si sia giunti al punto di rottura su un’opera che Milano attendeva da anni e che la critica internazionale aveva già valutato come uno dei capolavori dell’architetto inglese, medaglia d’oro del Riba, insignito nel 2013 del prestigioso Praemium Imperiale a Tokyo e vincitore in questi giorni dell’ampliamento del Met di New York. (...)
Se a questo si aggiunge l’indifferenza per la manomissione della casa al parco di Ignazio Gardella (testo da manuale nella storia dell’architettura europea, sottoposto a un orrendo lifting che ne ha alterato i delicati lineamenti), si può misurare l’enormità di questo distacco. Eppure non c’è giorno che non vengano a Milano gruppi di studiosi e architetti da ogni parte d’Europa — l’ultimo, dell’Eth di Zurigo, ancora in giro per la città — per visitare gli ultimi miracoli della nostra stagione d’oro, firmati da Ponti, Caccia Dominioni, Magistretti, eccetera.
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immagine: Vico Magistretti, Dipartimento di Biologia, Milano. Foto Gabriele Basilico
“Museo rovinato” Chipperfield attacca il Comune di Milano
L’archistar contesta la realizzazione del Mudec da lui disegnato “Pavimento sbagliato e finiture scadenti”
la Repubblica
21 marzo 2015
Armando Besio
“War of floor”. Guerra del pavimento. Così la battezza David Chipperfield, l’archistar inglese che alla vigilia dell’inaugurazione del Mudec, il Museo delle culture progettato nell’area dell’ex Ansaldo (la storica fabbrica milanese dove Craxi officiò uno dei più spettacolari congressi socialisti), disconosce la paternità dell’opera e diffida il Comune dall’utilizzare il suo nome. Sostiene che il pavimento, 5000 mq di pietra lavica, è stato posato in modo maldestro, con un confuso e antiestetico effetto a scacchiera che fa a pugni con la raffinata omogeneità del progetto originario. «Un errore grave, del quale perfino mia madre si sarebbe accorta» sibila Chipperfield. (...)