Corriere della Sera
27 febbraio 2015
Gian Antonio Stella
Un bidone. Nel trentesimo anniversario del primo dei condoni edilizi, varato nel febbraio ’85, i numeri dicono tutto: per incassare in totale poco più di 15 miliardi di euro d’oggi, lo Stato ha poi dovuto spenderne 45 in oneri d’urbanizzazione. Il triplo. Un suicidio economico, urbanistico, morale. Segnato da impegni solennemente ridicoli: «È la fine dell’abusivismo edilizio». Sì, ciao...
Va riletta, l’ Ansa del 21 febbraio 1985. Entusiasta per l’approvazione del Parlamento, Bettino Craxi dettava da Palazzo Chigi una nota esprimendo soddisfazione per la sanatoria e spiegando che avrebbe portato nelle casse statali «circa cinquemila miliardi di lire» e che le misure avrebbero concorso «con efficacia a porre fine al fenomeno dell’abusivismo edilizio, che era divenuto dilagante». Che fosse ormai dilagante è vero: secondo il Cresme (Centro Ricerche Economiche Sociali Mercato Edilizia) l’effetto annuncio di quel primo condono «avrebbe provocato l’insorgere, nel solo biennio 1983/4, di 230.000 manufatti abusivi». Ovvio: i primi proclami furono fatti dal ministro dei Lavori Pubblici Franco Nicolazzi, con la comica minaccia che chi non avesse sanato avrebbe visto apparire le ruspe, nell’ottobre dell’83. «Perché non approfittarne per tirar su una casa nuova da spacciare per già esistente?», si chiesero decine di migliaia di furbi. E cominciarono a costruire.
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