Corriere della Sera - Milano
16 febbraio 2015
Paolo Foschini
Bisogna ammettere che fino a prima di Natale, almeno visto da fuori, non era più che un cubo di cemento così pesante e grigio da non potersi guardare. Peggio del carcere di Bollate, veniva da dire, che sta un chilometro più in là e oltretutto chissà se era costato di più o no. E invece zitto zitto, un po’ per volta, quel Palazzo Italia che sarà tra i pochi edifici dell’Expo a restare per sempre, qualunque cosa accada agli altri, se ne sta venendo fuori e si comincia persino a capire un po’ come sarà veramente: assomiglia a un grosso albero quadrato alto sei piani per cento metri di diagonale, appoggiato su otto basi tipo radici con in mezzo un grande spazio vuoto, e tutto attorno pieno di linee curve come una scultura, però bianco come un transatlantico, con uno scafo che più si sale più si ramifica, e negli spazi tra i rami vetro ovunque, anche sul tetto, tutto piegato e trasparente anche quello, con l’acqua che quando piove anziché scorrere fuori precipiterà dentro a cascata. Vetro fotovoltaico, cemento fotocatalitico, dicono che sarà una bomba di risparmio energetico. Sarà finito per l’inaugurazione? «Certo che sì. Non c’è un piano B».
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